1915 Maccheroni alla RENATO SIMONI

Quando mai mi ricapiterà di fare una ricetta archeologica di cotanta consistenza? E non parlo dei grassi presenti o dalla densità di gusto apportata dal mezzo litro di panna, dalle 4 uova, dai 200 grammi di pasta, dal prosciutto, dal formaggio, dai funghi o dal burro.

Vi spiego sinteticamente:
√ La ricetta dei maccheroni alla Renato Simoni è del 1915. Ora siamo a maggio. Il 23 maggio 1915 l’Italia entrò ufficialmente nella Grande Guerra, dichiarando guerra all’Austria-Ungheria dopo aver stipulato un patto d’alleanza con la Triplice intesa (Francia, Russia e Inghilterra). Iniziarono il giorno dopo le prime battaglie, nel Carso e verso le Dolomiti, con il generale Luigi Cardorna a guidare verso la morte centinaia di giovani soldati. E’ andata come è andata. 100 anni tondi tondi, come il gusto di una forchettata di maccheroni alla Simoni. Presumo che il sapore di questi maccheroni al forno sia ciò che ci si aspettava a quel tempo da un piatto considerato “raffinato”. Per il mio gusto personale, risulta troppo pesante, piatto, senza picchi di nessun genere. Predomina il sapore della panna, con la quale viene preparata la salsa di copertura e pure quella di accompagnamento. Perfino mio figlio, l’adolescente onnivoro e vorace, ha ammesso che è un filo troppo pesante. Rispetto alla ricetta originale, manca il tartufo. Non è il periodo giusto, me ne farò una ragione.

 

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√ La ricetta è tratta dall’ultimo Almanacco gastronomico di Jarro, al secolo Giulio Piccini, che morì di morte naturale di lì a poco, a 67 anni. Jarro fu un grande amico di Simoni, oltre che collega. Simoni fu drammaturgo, giornalista e critico teatrale (esattamente come Jarro) del Corriere della sera e per un periodo anche direttore dell’inserto letterario La Lettura (con il quale Jarro collaborò spesso). L’Almanacco gastronomico del 1913 è dedicato da Jarro all’amico Simoni. Insomma, fra i due c’era un legame profondo.

Io adoro Jarro e i suoi Almanacchi gastronomici. Uomo colto e ironico, scrittore e critico teatrale, gastronomo raffinato e vorace, il primo a pensare di scrivere un libro di ricette che fosse divertente, ricco di aneddoti e ricordi goliardici, costellati dalla presenza dei suoi tanti amici celebri, da D’Annunzio a Sarah Bernhardt. Si può immaginare che Jarro avesse una rete di conoscenze importanti che da Firenze arrivava fino a Milano. La sua collaborazione con La Lettura potrebbe arrivare proprio dalla lunga amicizia con Simoni  (e stima reciproca, come si legge in un articolo de La cucina italiana del 1933), così come la sua presenza fra le pagine del Marzocco, la rivista letteraria fiorentina d’inizio ‘900,  si può legare ai fidi compari D’Annunzio e Ojetti. Un’allegra colta (e mangereccia) combriccola che Jarro deliziava a suon di cibi raffinati da lui stesso cucinati.

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Renato Simoni è uno dei due librettisti della Turandot di Puccini, che debuttò nel 1926 al Teatro alla Scala di Milano. In occasione dell’apertura dell’Expo2015 di Milano, la Turandot è in scena proprio alla Scala fino al 23 maggio pv, con la direzione di Riccardo Chailly.

Simoni nacque a Verona nel 1875, iniziò ben presto la carriera di giornalista e nel 1902 si trasferì a Milano, dove trovò il successo come commediografo e critico teatrale, al punto di iniziare la collaborazione con il Corriere della Sera proprio in veste di critico dal 1914. Si diede parecchio da fare anche durante il primo conflitto mondiale, dirigendo il giornale di trincea della Terza armata, La Tradotta. Negli anni 20 diventò direttore de La lettura e, assieme ad Giuseppe Adami, scrisse il libretto dell’opera di Puccini e molte altre commedie teatrali. Commediografo prolifico, lavorò con grandi attori, come Ettore Petrolini. Purtroppo è riuscito a guastare la festa negli anni ’30, aderendo al fascismo. Dopo la Seconda guerra, fu isolato e allontanato dal Corriere, ma son bastati una decina d’anni per riammetterlo in piena regola. E nel 1951 divenne presidente del Circolo della Stampa. Morì l’anno dopo.

Tanta roba, no?!

 

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LA RICETTA

 

Fate cuocere in brodo, o in acqua con burro, i maccheroni; quando son cotti, tritate una quantità di presciutto il meno salato possibile:: grattate formaggio parmigiano e gruiera (questa mescolanza è sempre gradevole), mescolate tutto; aggiungete rossi d’uovo secondo la pasta che avrete cotto; montate le chiare e agitate. FAte una salsa bianca con farina e panna, gettatela sul preparato. Mettete tutto in una forma imburrata e tenete a bagno-maia per tre ore. Si deve far poi una salsa a parte con panna, farina e torli d’uovo; funghi e tartufi tritati.

 

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Come vedete, la ricetta è di quelle comunemente dette “a occhio”. Le preferisco, tutto sommato. Jarro dava per scontato che la salsina di panna si sapesse fare, ad esempio. E io l’ho fatta come farei una normale besciamella: farina+burro+panna. Che ci vuole? Non ho pesato niente, tutto a occhio, come una massaia sa fare. Ed è venuta bellissima. La pasta invece l’ho pesata per potervelo riportare: 200 grammi. Le uova che ho ritenuto opportuno aggiungere sono esattamente 4: i rossi li ho aggiunti alla pasta cotta (molto ad dente), al prosciutto tritato, ai formaggi grattati, ad un po’ di sale e pepe. I bianchi li ho montati a neve e aggiungi al pastone (ehm.. volevo dire all’impasto). Ho messo in uno stampo adeguato e ricoperto con la salsa di panna. Il momento forse più difficile è stato capire come diavolo cucinarla. Aiutata da un amico cuoco e diverse amiche massaie, ho optato per forno statico a 130 gradi per più di un’ora e mezza. Va poi aggiunta, in accompagnamento, la salsina di panna, legata con un uovo, con funghi (che ho saltato in padella con un filo d’olio) e il tartufo (che non ho trovato).

Visto il peso specifico e la quantità di grassi e calorie, quei 200 grammi di pasta sono bastati per sfamare circa 4/5 persone.

Ma ha poca importanza, visto che qui si parla di storia e di fatti accaduti e di guerra e di arte e di Italia e di ‘900.

Si nota che mi è piaciuta? Quello che m’è riuscito peggio sono le foto. 🙁

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