1930 Delicatezze di trota al Vittoriale

Foto di Giandomenico Frassi

Non potete capire la mia gioia, Massaie! È in edicola il numero di Grande Cucina, il bimestrale di Italian Gourmet, con il servizio dedicato a Gabriele D’annunzio e al Vittoriale che ho tanto sognato di fare.

La quadratura del cerchio. Nell’anno in cui si celebrano l’ottantesimo anniversario della morte del Vate, i cento anni tondi dalla fine della Grande Guerra, della Beffa di Buccari, del Volo su Vienna. Per non farmi mancare niente, è anche l’anno nazionale del cibo italiano.

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Vi spiego come è andata.

Era il 23 dicembre scorso, quando la neo direttrice Anna Prandoni mi diede l’ok per questo servizio.

Da farsi nel giro di un paio di settimane o poco più, ovviamente.

Abbastanza facile, se non fosse stato quasi Natale e se non avessi proposto ad Anna di riportare in vita un paio di ricette dei primi del Novecento dedicate a d’Annunzio, da far preparare allo chef del Grand Hotel Fasano di Gardone Riviera e da fotografare nella Stanza della Cheli al Vittoriale.

Armata di coraggio, speranza e disagio a palla, scrissi al presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri e alla direttrice degli eventi speciali Annarita della Penna, convinta che mi avrebbero bellamente rimbalzata.

E invece no, mi risposero.

Entrambi.

L’antivigilia di Natale.

Pazzesco. Non sono più abituata all’efficienza. Applausi.

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Il 10 gennaio eravamo lì, pronti come non mai, un filo tesi. Abbiamo dovuto seguire poche regole, ma molto chiare:

non si può toccare nulla,

non ci si può sedere o spostare, mangiare o bere

si usano solo oggetti del Vittoriale (a quest’ultima notizia, sono svenuta dalla gioia).

Dopotutto, ogni oggetto, lì dentro, è prezioso e va tutelato, rispettato.

Se qualcosa fosse stato danneggiato, la pena sarebbe stata tremenda:

il rancore eterno del Vate, per interposta persona-ona-ona… 

che poi è GBGuerri. E, a me, Guerri incute il giusto timore.

C’è da dire però che ha la capacità di far funzionare quel posto con rigore e logica, passione e competenza. Stimola l’engagement su Fb, condivide su Ig, posta su Tw e nel frattempo scrive libri e articoli, presenzia ai numerosi eventi che vengono organizzati al Vittoriale, fa network e crea business.

E difatti, il Vittoriale è uno dei musei più visitati d’Italia, gestito da una fondazione privata che lo ha rimesso degnamente in sesto dopo anni di trascuratezza.

Che io me la ricordo la tristezza di quel posto, negli anni 80/90.

Oggi, è una macchina ben oliata sul piano organizzativo, in attivo su quello finanziario.

Senza l’aiuto di finanziamenti pubblici.

Bene, bravo, bis.

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La crew: io e la mia ansia, Giandomenico Frassi e la sua macchina fotografica da vero pro, lo chef Matteo Felter con la versione moderna delle Delicatezze di trota alla Vittoriale e l’insalata D’Annunzio per sei coperti, Anna Prandoni e il suo inseparabile iPhone a sovrintendere quello che è stato ben più di un semplice servizio fotografico. 

Quasi una seduta spiritica, un’esperienza paranormale.

Entrammo alla fine delle visite guidate. Silenzio, atmosfera a palla. Corridoi, angoli, tappeti e arazzi, statue e statuette, caos calmo. Ad attenderci c’era la sala da pranzo più sensuale del mondo intero: la Stanza della Cheli. Rosso e oro, azzurro. Oggetti, ricordi, statue, pavoni.

Per la gioia di Giandomenico, nessuna finestra. Luce fioca.

Preparammo la tavola con cura, usando delicatamente quei piatti di finissima porcellana e i modernissimi bicchieri Venini degli anni ’30, semplicemente stupendi. Con il cibo nei piatti, vivo e fumante, l’atmosfera si fece a tratti surreale: mi aspettavo che, da un momento all’altro, entrassero gli ospiti della cena, allegri e vocianti, preceduti dal padrone di casa.

A capotavola, a ricordarci di non peccare d’ingordigia, la Cheli, la tartaruga morta di indigestione nei giardini della villa dopo una scorpacciata di tuberose. Il Comandante, invece, non era ghiotto di cibo, ma preferiva servirsene come prologo seducente e goloso per i suoi incontri amorosi.

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LE RICETTE DANNUNZIANE 

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Ne ho contate parecchie di ricette dedicate al mondo di D’Annunzio, sparse in ricettari e riviste dei primi quarant’anni del Novecento: La lepre alla d’A. di Jarro (scelse la lepre perché, come il Vate, è difficile da catturare), il sugo Alalà, la Capponcina alla D. (dal nome della dimora fiorentina dove soggiornò ai tempi della sua relazione con la Duse), il fagiano, l’insalata o la millefoglie, il consumato dedicato alla sua adorata Eleonora o il pollo intitolato alla bella pollastra, diva del cinema muto, intima amica e attrice teatrale, Lyda Borelli.

Ho scelto di provare le Delicatezze di trota alla Vittoriale perché l’idea di fotografarla proprio AL VITTORIALE mi ha tolto il sonno. Ognuno ha le proprie fissazioni, Massaie, e la mia, negli ultimi tempi, è quella di mettere il piatto (rivisitato da uno chef professionista,) lì dove la ricetta (storica) fu pensata.

Trovo che ci sia della poesia in questa mia inutile visione.

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Matteo Felter ha preparato la sua versione delle Delicatezze e dell’insalata, mantenendone l’idea originale e rendendole più affini ai gusti moderni.

Matteo è il simpaticissimo e bravissimo executive chef del Grand Hotel Fasano, un magnifico e lussuoso albergo a Gardone Riviera, a poche centinaia di metri dalla dimora dannunziana. Un luogo storico, a sua volta. Edificato attorno al 1888, fu residenza di caccia della famiglia imperiale austriaca.

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DELICATEZZE DI TROTA AL VITTORIALE

Le Delicatezze di trota alla Vittoriale è una delle ricette del menù che vinse il concorso Un Pranzo da Cerimonia, lanciato da La Cucina italiana nel 1930 e riservato ai professionisti. Fu scritta da Mario Marinoni, cuoco-scrittore-collaboratore della rivista, che si guadagnò il terzo posto e la medaglia d’oro della Confederazione Nazionale Fascista del Commercio con questo ottimo piatto ispirato alla dimora dannunziana. Citare il suo nome, anche solo per intitolare una ricetta, era evidentemente sinonimo di buongusto, lusso, eleganza, finezza.

Il Vittoriale fu costruito a partire dal 1921, cioè subito dopo la fine della Reggenza del Carnaro, a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 1930, d’Annunzio si era già ritirato nella sua immensa – e ancora non pagata – dimora affacciata sul lago di Garda, intento a scrivere e godere dei piaceri della vita terrena. Lontano dai centri del potere e dai fasti delle sue azioni passate, si costruì una piccola città a sua immagine e somiglianza. Morì di emorragia cerebrale la sera del primo marzo del 1938, al suo tavolo da lavoro nella stanza della Zambracca nella Prioria, dove era intento a lavorare.

E dove tutto è rimasto com’era quella sera.

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Sopra, la pagina del giornale con i Menù vincitori.

Sotto, la ricetta originale delle Delicatezze.

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E, per finire, la versione dello chef Felter

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Questa ricettina arriva dal bellissimo Cucina classica e moderna: 366 liste cibarie variate per pranzi, già combinate secondo i giorni e relative stagioni dell’anno (servizio per 6 persone circa) con più di 2000 ricette. Schiarimenti e appunti storici sulle denominazioni dei Piatti. Prefazione del Dott. Cav. Alberto Cougnet. 

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Un titolo che è già un trattato. A scriverlo fu Attilio Perruzzotti, cuoco e membro della potentissima Società dei cuochi milanesi, diretta dal dott. cav. Cougnet. Attilio, figlio di un altro chef della società meneghina, pubblicò questo bel ricettario nel 1909 con un menù completo per ogni giorno dell’anno. In origine, l’insalata dannunziana doveva accompagnare un tacchino “attartufato”, ed era fatta con fondi di carciofo lessati e marinati con olio limone pepe sale e scalogno, riempiti con farcia fatta con olive, code di gamberi, patate e maionese condita all’aceto e cerfoglio. Decorata, infine, con maionese rosa e cetriolini all’aceto.

Una robetta leggera…

Matteo l’ha ovviamente sfoltita di tutto, lasciando il carciofo a crudo e aggiungendo erbette fresche a volontà. Eccovi però la ricetta originale.

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l’Attilio.

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La buona notizia è che lo shooting è andato alla grande. Niente di rotto o danneggiato, nessun rancore eterno.

L’ottima notizia è che il piatto era buono assai e le foto che ne sono uscite sono semplicemente fantasmagoriche, a mio avviso.