1940 PISELLI CON LE BUCCE e BUCCE DI RAPA FRITTE.

Tempi d’economia, son questi, ed è dovere della massaia di non sprecar nulla di quanto può servire all’alimentazione umana. Qualunque ricetta, che, all’esperimento, si riveli saporosa, nutriente, igienica, e di cui i componenti sieno, in parte o in tutto, forniti dai cascami degli alimenti normali, sarà esaminata e, se buona, premiata.”

Inizia così, nel numero di dicembre 1939 de La Cucina Italiana, il concorso dal titolo “Utilizzazione dei resti”, che trovò ampio spazio nella rubrica “La posta di Nina” per tutto il 1940. Se ci pensate, potremmo lanciare un nuovo concorso sul “non buttar via niente” con le stesse, identiche parole anche oggi, considerando il fatto che, al netto della guerra, il disagio sociale imperante e la difficoltà economica crescente non sono troppo diverse da allora.

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Il concorso, indetto a fine dicembre, avrebbe dovuto concludersi alla fine di febbraio, ma arrivarono talmente tante ricette da farlo continuare fino alla fine dell’anno. 

Adoro, con sincera massaica commozione, i concorsi dell’epoca, quando la partecipazione – non alimentata dai social network e non semplificata dai mille ammennicoli tecnologici – era impegnativa e motivata.

Come le moderne food blogger e i tanti “contest” che la rete offre a chi ama cucinare-fotografare-postare-mangiare, così le lettrici di quel tempo scrivevano con fervore le loro ricette del cuore e offrivano il loro sapere (con forte spirito patriottico) alla causa de La Cucina Italiana, partecipando numerose ai tantissimi concorsi che il giornale lanciò fin dal primo numero del 1929.

Eccovene un esempio:

Cara Nina,
sono abbonata da circa sei anni e spero di esserlo sempre perché la nostra “Cucina” mi è tanto cara e mi piace ogni anno di più. La leggo tutta col più grande interesse e tante volte avrei voluto scrivervi per mandarvi anch’io qualche ricetta, ma la mancanza di tempo ed altre circostanze mi hanno sempre indotto a rinunziarvi; questa volta mi decido perché uno dei due concorsi (l’altro era “I piatti nuovi”) da voi proposti tocca un tema molto utile e molto caro in casa mia: quello del risparmio, dell’utilizzazione degli avanzi. In casa mia l’economia intesa come sforzo di evitare ogni sciupìo inutile, di utilizzare tutto ciò che è utilizzabile, è una specie di tradizione: quanto volte ho visto mia madre o mia zia scorticare pazientemente i gambi di cavolo e di carciofo per trarre il midollo o fare dei rammendi precisi come tessuti; quante volte l’ho fatto anch’io! Da bambina la nonna mi raccontava la leggenda della Madonna che durante il viaggio in Egitto, scese da cavallo per raccogliere una briciola di pane; da giovinetta mi ripeteva che il superfluo si dà ai poveri, ma che mai, si fosse pure ricchissimi, possiamo permetterci di sciupar nulla di quanto ci dona la Provvidenza; allevata a questa scuola, potete comprendere che mi faccia pena di vedere spesso sprecare tanta grazia di Dio, che, ben cucinata, potrebbe dare dei piatti di tutti i generi e per tutti i gusti. Ora, poi, l’interesse stesso della Nazione, ben superiore a quello dei singoli, vuole che tutte portiamo il nostro piccolo contributo alla lotta per l’autarchia; proviamoci dunque a insegnare a qualche massaia inesperta come può servirsi di ciò che finora ha trascurato, nell’interesse della sua borsa ed anche – un pochino – della Patria.

Rosa

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Pasta asciutta col sugo di gambi di carciofo: bollire i cambi di carciofo per far perdere l’amaro, tagliarli a pezzi e mettere in una casseruola con soffritto d’aglio, prezzemolo, pane grattato. Condire la pasta con il sugo e del parmigiano grattugiato.

Pancotto: un classico, mia madre me lo ha sempre preparato (ma io non l’ho mai amato) e lo preparava a mio figlio quand’era piccino. Da noi in Veneto si chiama “panada”, ma il concetto è sempre quello. In questa versione “alla Rosa” ci va anche un po’ di sugo di pomodoro o conserva.

Budino di pane secco: pane imbevuto nell’acqua, strizzato, amalgamato con uova, cipolla, prezzemolo, salsa di pomodoro, parmigiano grattugiato, cotto al forno. Può essere riempito con un ragù fatto da rigaglie e frattaglie e budelline, che vanno lavate accuratamente in acqua e aceto, perché “ne aumentano il volume senza guastarne il sapore”.

Budino dolce di pane secco: strati di fette di pane secco spalmate col burro, in uno stampo inzuccherato e con scorza di limone grattugiato, coperto di latte e cotto a bagnomaria;

Altro budino dolce di pane duro: pane inzuppato nell’acqua, strizzato e pestato al mortaio, poi amalgamato con uova e zucchero, un botto di burro, uva secca, scorza di limone. Messo in uno stampo foderato di sciroppo di zucchero e vino bianco, cotto a bagnomaria.

Seguono poi le altre 3 ricette, due delle quali ho testate per questo post e che vi spiego strada facendo. Perché, ha questo punto, immagino che vi starete chiedendo se Rosa, colei che inviò tutte queste ricette, vinse questo concorso.

No, non fu lei.

Furono Giuseppina Albertini, Giuseppina Verga, Lucia Cavalli Braghieri e alcune altre, che avrebbero dovuto ricevere in premio un bel paccone di prodotti della S. A. Buitoni. 

Purtroppo per loro, alla fine del 1940 erano già in vigore il razionamento del cibo e le tessere annonarie e non era permesso inviare pacchi contenenti generi alimentati. 

Il direttore de La Cucina Italiana, Athos Gastone Banti (conosciuto come il “giornalista spadaccino” e fondatore del quotidiano Il tirreno), pensò bene di regalare alle vincitrici la fantasmagorica, irradiante, fluorescente crema TO-RADIA!

Che, a dire il vero, propinavano in tutti i modi possibili alle lettrici del giornale, in forma di crema, cipria e altri generi di prodotti per la bellezza.

Oh, massaie mie, non potete immaginare che meraviglia della scienza fosse la To-Radia, tale da trasformarvi nella più bella delle stelle del cielo, un sole! Dopo una sola applicazione, la pelle brillava di luce propria! E non per modo di dire…

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Tho-Radia” era il nome di una florida società francese nata nel 1933 (e chiusa nel 1963) che lanciò sul mercato queste creme brevettate dal Dottor Alexis Moussali e dal dottor Alfred Curie. Si, Curie!, come il dottor Pierre Curie e la moglie Marie (Alfred non era loro parente, ma lo lasciava intendere), quelli che all’inizio del ‘900 scoprirono (e per questo vinsero il Nobel) la radioattività del radio.

Una crema radioattiva, ma al profumo di borotalco.

Rabbrividisco. 

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A quel tempo, la radioattività era considerata benefica per la salute e per un po’ di decenni si trovarono in commercio parecchi prodotti che vantavano il potere radioattivo: dall’acqua al cioccolato, al dentifricio.

Questi prodotti furono portati e commercializzati in Italia (italianizzandolo in To-Radia) dalla “Società Italiana Prodotti profumeria e igiene con sede a Firenze, che li pubblicizzò per anni su LCI.

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Ma veniamo alle ricette! “Piselli con le bucce” e “Bucce di rapa fritte all’agliata”.

Cucina di guerra, del poco o niente, ma con gusto.

Ci sono centinaia di ricette dedicate a questi temi nel favoloso mondo dell’archivio storico de LCI. Ho scelto questa “Piselli con le bucce” per il nome e per la sua semplicità disarmante (è un tortino di uova, piselli, bucce di, parmigiano grattugiato e prosciutto) che fa pensare ad un piatto di facile realizzazione e sicura riuscita, adatta ad essere preparata anche da massaie fortemente inesperte. Visto che c’ero, ho preparato anche la ricetta con le bucce della rapa, mi incuriosiva e ho pensato che, insieme, potessero formare un ottimo aperitivo.

Bisogna avere però una certa attitudine ad affrontare le ricette senza indicazioni di peso e tempistiche di cotture, perché in cucina ci vuole occhio, mie care, sensibilità verso l’argomento, istinto.

E infatti m’è venuta un po’ crudetta… poca roba, sarebbero bastati 10 minuti in più.

PISELLI CON LE BUCCE

Si spezzano le bucce dei piselli teneri e si levano i piselli stessi, Si rompono le estremità delle bucce che si fanno cuocere in acqua salata; nel tempo stesso si fanno cuocere a parte i piselli, anch’essi in poca acqua salata; nel tempo di cottura dei piselli dev’essere assai breve e l’acqua salata pochissima in modo che l’assorbano tutta. Quando le bucce saranno cotte si tritano colla lunetta o si passano al tritatutto; si mescolano coi piselli, quindi si fanno insaporire in un soffritto di cipolla con burro e, possibilmente, prosciutto, vi si unisce una balsamella (fatta con farina, latte e burro fresco) torli d’uovo, albumi, montati in proporzione della quantità, parmigiano grattugiato; si mette tutto in uno stampo unto di burro e si cuoce al forno, o a bagnomaria un po’ più lungamente. Mi accorgo ora d’aver dimenticato di segnare il sale fra gli ingredienti di questa ricetta e di alcune altre, ma sarebbe fare un torto all’intelligenza delle abbonate (dato che voi riteniate qualcuna fra queste ricettine degna di pubblicazione) il supporre che non pensino che, salvo, nei dolci, in ogni altro piatto deve necessariamente entrare il sale.

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BUCCE DI RAPA FRITTE CON L’AGLIATA

Non vi meravigliate del titolo: le bucce di rapa fritte, per quanto ciò possa sembrare strano, sono eccellenti; quanto alla parola “agliata” si tratta di un termine dialettale genovese di cui non conosco il corrispondente italiano. Si sbucciano le rape e si adoperano nel modo che si crede. Invece di gettar via le pelli, queste si appendono ad un filo e si lasciano seccare. Quando se ne ha una bella quantità a disposizione, si mettono a bagno nell’acqua calda e vi si lasciano due o tre ore; poi si lavano e si pongono a bollire in abbondante acqua salata. Cotte che siano, si lavano, si lasciano e si pongono a bollire in abbondante acqua salata. Cotte che siano, le levano, si lasciano sgocciolare e si avvolgono nella farina; quindi si friggono. Intanto si sarà preparata l’agliata in un tegame che possa esser presentato in tavola. Per prepararla si pestano bene alcuni spicchi d’aglio, si sciolgono nel tegame con aceto olio e sale, variando le proporzioni secondo il gusto, e si fa cuocere tutto alcuni minuti. Appena le buccie di rapa sono fritte, si gettano caldo in questa salsa, anch’essa calda e si portano in tavola. Alcuni invece le mangiano quando tutto si è raffreddato. In qualunque modo si mangi, è un piatto assai appetitoso e molto usato dai nostri nonni che lo consideravano una vera leccornia del tempo quaresimale.

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Infine, Rosa ci consiglia una variante per quest’ultima ricetta, le “Bucce di rapa fritte con salsa di noci”, fatta con noci pestate in un mortaio assieme ad aglio, mollica di pane inzuppata nel brodo, olio, pepe e sugo di limone, il tutto cotto per alcuni minuti. Interessante, no?! Ancora più interessante se pensiamo che, come ci spiega Rosa, era considerata una vera delizia dai nostri bis o trisnonni in periodo di quaresima. A me ‘ste cose m’esaltano!

Per la ricetta principale, i “Piselli con le bucce”, ho usato 2 uova, circa mezzo chilo di piselli, e il resto ad occhio… ed è rimasto in forno, a bagnomaria, per circa 45/50 minuti a 160/170 gradi. Consiglierei di tenercelo almeno un’ora. Ah!Quasi dimenticavo! Le bucce/bacelli dei piselli, una volta lessate, si sono rivelate troppo fibrose per poterle usare nella preparazione, sarebbe stato impossibile masticarle anche se previamente sminuzzate o tritate (colpa forse dei piselli non proprio appena colti). Ho scelto quindi di passarle allo staccio (setaccio) e poi le ho unite al soffritto di cipolla e burro assieme ai piselli. Il risultato è davvero ottimo e saporito, in entrambe le ricette.

Questo post, mi sento di dire, è stato pensato e preparato da me, Samanta, e dalla massaia Rosa, abbonata fedele fin dal 1934. 

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